Olimpiadi di Mosca, 1980. Pietro Mennea è ai blocchi di partenza per la conquista della medaglia olimpica. In un attimo, tutta la sua vita gli scorre davanti. Barletta. Molti anni prima. Pietro va a scuola, aiuta il padre Salvatore, umile sarto, e, soprattutto, corre già più veloce di tutti. È una corsa che esprime l'energia di vivere e la solarità meridionale limitate da un carattere timido. Almeno finché non è notato dai dirigenti di una polisportiva locale, la Avis Barletta. Qui il talento di Pietro trova finalmente una strada, e la sua esplosività un metodo. È in occasione di una trasferta sportiva dell'Avis che la vita di Pietro cambia: la notte prima della gara vede correre e vincere alle Olimpiadi di Città del Messico '68 l'atleta nero Tommie Smith. Dallo schermo della tv lo vede alzare al cielo il suo pugno chiuso. Velocità e ribellione. E il giorno dopo, fatale coincidenza, Pietro corre sotto lo sguardo di Carlo Vittori, il miglior tecnico federale italiano. Il destino di Pietro è segnato. Pietro Mennea, mito dello sport mondiale, ci ha lasciato principi etici coltivati e difesi nel suo lungo percorso nell'atletica. Fin dagli esordi ha fatto suo un insegnamento mai abbandonato nell'incredibile vita sportiva: contro il nemico si combatte, con l'avversario si compete. E la competizione implica lealtà e rispetto.