Terra dei grandi numeri
È un normale giorno di mercato quando in un villaggio anonimo e millenario irrompe il qiguo, un frutto dolcissimo che prima delizia tutti infondendo ottimismo e poi li strazia, facendo riemergere i drammi e le bugie di un passato collettivo mai davvero espiato. Come quello di Bayi, che in fuga da un ex tossico prova a rifarsi una vita in una città dove i bollettini quotidiani esortano al buonumore mentre i contestatori vengono fatti sparire. Nella nuova Cina il riscatto sembra mescolarsi inevitabilmente all’illusione, soprattutto personale: Cao Cao si arrabatta fra gli scarti del paese per costruire una macchina volante e ingraziarsi finalmente un disinteressato funzionario del Partito Comunista; Zhu Feng punta tutto sugli indici del mercato azionario, smarrendo se stesso. Sono parabole individuali di un popolo proverbialmente compatto e contraddittorio, come i pendolari della stazione di Gubeikou, costretti da un guasto alla linea a ridefinire una società in miniatura in cui alla libertà vengono preferite la disciplina e le promesse di un’intera nazione. Al cuore di questi dieci racconti ci sono personaggi teneri, bizzarri, talvolta inquietanti e spesso molto soli, persi nei grandi numeri della loro terra e forse uniti da un anelito di rivalsa che non è solo economica o sociale ma riguardalo scarto tra generazioni, il tentativo di costruirsi un’identità fra ingerenze governative e nuovi modelli culturali – come a voler trovare il centro di una condizione esistenziale che appare sempre in bilico. Alternando favole cupe a storie più realistiche e taglienti, Te-Ping Chen ci restituisce un ritratto della Cina, e della diaspora negli Stati Uniti, tanto delicato quanto impietoso.
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