La casa delle orfane bianche
Per aiutarsi reciprocamente tre donne di mezz’età decidono di ritirarsi in una casa di paese con le rispettive anziane madri, bisognose di assistenza. La convivenza, sulla carta, è un incastro perfetto: cosa c’è di meglio della rusticità dei bei tempi andati per dividere spese, pensieri, incombenze, e magari risanare quel legame intimo tra madre e figlia, di accudimento e amore, che al momento è invertito? Ma il nido si mostra assai presto per quello che è: un covo di immaturità, risentimento, egocentrismo e disperazione che sfocia in un tragicomico delirio collettivo: la casa si rivolta contro le inquiline e il loro desiderio, soffocandole tra immondizie, un cane infido e l’odore nauseabondo di una papera guasta. La situazione precipita quando arriva nella casa, teoricamente come badante, una suora fasulla e inferma, che si piazza in poltrona e pretende d’essere servita e riverita. Lo scompiglio che ne segue getta le protagoniste nello sconforto totale finché, come in ogni dramma che si rispetti, esse saranno costrette a smascherarsi, e a dichiararsi orfane bianche.Proposto da Gioacchino De Chirico al Premio Strega 2024 con la seguente motivazione: «La casa delle orfane bianche è un regalo prezioso. Con un titolo che sembra riecheggiare Stephen King, Fiammetta Palpati scrive una storia molto vicina a tutte le donne che si trovano il carico dell’accudimento dell’anziana madre. Ma nulla di lamentoso e di patetico attraversa il romanzo, che si fa ancora più forte e interessante grazie a una scrittura di altissimo livello, precisissima, che transita disinvoltamente dal letterario al popolare, dal vernacolo al pop. La fantasia geniale della scrittrice mette insieme tre vecchiette e le rispettive figlie di mezza età, le “mescola”, le “scambia” e le fa agire come se la casa fosse una festosa alternativa utopistica al mondo conservatore della cura nelle istituzioni. Come tutte le utopie, però, la festa degrada rapidamente; tanto che le tre donne sentiranno l’urgenza di ricorrere a una badante. A bussare alla porta sarà in realtà una suora fasulla che si scopre poi essere una barbona interessata solo al cibo, portatrice non di salvezza ma di un estremo bisogno. Un bisogno nel quale le tre donne si rispecchieranno scoprendo di essere appunto «orfane bianche», figlie di madri-bambine, e a loro volta mai state compiutamente figlie. Non c’è un vero lieto fine, ma piuttosto una danza collettiva, una sarabanda dolorosa, ma necessaria e perciò benefica, dalla quale le tre protagoniste usciranno finalmente adulte.»