Rimbaud

Rimbaud

Arthur Rimbaud è un enigma. Il ragazzo “dal volto perfettamente ovale d’angelo in esilio” – così lo descriveva Paul Verlaine – inventa quasi dal nulla, con screanzata precocità, la poesia moderna, per sempre giovane, contemporanea a Dio. Poi, un giorno del 1873, il poeta-bambino decide di dimenticare le copie del suo capolavoro, “Una stagione all’inferno”, presso la tipografia M.-J. Poot di Bruxelles, inaugurando un vagabondaggio infinito che lo porterà a girare mezzo mondo e ad approdare in Africa, dove si stabilirà, tra Aden e Harar. Nelle fotografie il suo viso è irriconoscibile: Rimbaud commercia, tenta di vendere armi a re Menelik, deflagra nella noia. Il poeta che non scriverà più ha sconfitto la poesia o l’ha misteriosamente realizzata? In molti hanno cercato di svelare Rimbaud, il poeta leonino che si tramutò in Sfinge: Pierre Michon, tra i grandi scrittori francesi di oggi, si libra al di sopra del labirinto critico, scrivendo una biografia criptica ed elusiva, che innalza morgane, promette e sfida. D’altronde, Rimbaud non va interpretato – devi inseguirlo.
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