La terza buonanotte
Verona, 1970. Pietro ha sette anni e uno spiccato senso dell’umorismo. La sua è una famiglia molto in vista: suo nonno è Arnoldo Mondadori, o come lo chiama lui “Arnoldo Mondadori Editore”, perché è così che c’è scritto sulla copertina di Topolino. Abita in una villa in collina con una cuoca, un cameriere, l’autista “Rommel” e la tata Ina. Va molto d’accordo con i fratelli e ha una venerazione per il maggiore, Luca, che gli ha insegnato ad andare in bicicletta e a tifare per il Milan. Insomma, non gli manca nulla per trascorrere un’infanzia felice, se non fosse per quei due problemini: il terrore dei microbi e gli incubi notturni. Il primo lo tiene sotto controllo lavandosi le mani con insensata frequenza, mentre il secondo mette a repentaglio la serenità familiare, soprattutto da quando Pietro si sveglia urlando ogni notte. Così la madre decide di mandarlo in cura due volte la settimana da una psicoterapeuta di Milano, scelta che sconvolge le sue amiche della buona società veronese. Per Pietro è l’inizio di una serie di novità, a volte per lui incomprensibili, che riuscirà ad affrontare grazie all’innato ottimismo e la disarmante ironia.
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