Decostruire la pena. Per una proposta abolizionista
Casa circondariale “F. Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, aprile 2020: le immagini del pestaggio di alcuni detenuti da parte degli agenti della polizia penitenziaria fanno ormai parte dell’immaginario comune e sono da tempo cronaca giudiziaria al vaglio della magistratura. Ma questo è stato solo uno dei tanti casi che testimoniano un grave problema del nostro Paese: la realtà critica del carcere italiano. Il sovraffollamento, l’aumento delle morti, dell’autolesionismo, soprattutto dei suicidi, i frequenti episodi di repressione violenta, la gestione restrittiva e afflittiva dell’emergenza pandemica, l’affermarsi di tendenze controriformatrici (nella sorveglianza dinamica, sul 41bis e sull’ergastolo ostativo), la stasi e lo svuotamento dei progetti riformatori, l’avviarsi di progetti in controtendenza, a partire dall’introduzione di una serie di nuovi reati e di aggravamento delle pene, e il deterioramento delle condizioni detentive sono solo alcune conseguenze di una grave crisi che affonda le radici in filosofie e ideologie ormai inadeguate e desuete. Il saggio di Giuseppe Mosconi analizza in maniera dettagliata la complessa rete di paradossi e contraddizioni di cui il nostro sistema penale-penitenziario è permeato: il carcere non rieduca, non è riformabile; i diritti dei reclusi non sono facilmente tutelabili. I motivi sono profondi e strutturali: la scarsità e l’inadeguatezza delle risorse trattamentali, l’artificialità forzata dell’ambiente carcerario, l’ambiguità del rapporto pedagogico con gli operatori e l’assenza di risorse adeguate al reinserimento post-detentivo sono solo alcuni dei segni emergenti di una lettura schematica, superficiale e aprioristica dei reati e dei soggetti che li pongono in essere. Si impone un “salto di paradigma” nell’analisi di questi fenomeni, nella loro oggettività, in vista di soluzioni alternative all’afflittività della pena, a partire da una Giustizia Riparativa come reale alternativa al sistema penale.