Il canto del Principe. Storia di un albero

Il canto del Principe. Storia di un albero

Questa del Principe sembra una fiaba, ma non lo è. È una storia vera. Una storia di vita, di morte e di vita. Il Principe – «alla cui ombra amava sostare Sigmund Freud e che certamente è stato ammirato anche da Robert Musil», ci ricorda Rigoni Stern nel suo "Arboreto salvatico" – non era solo un monumento della natura o l'albero dei primati, non era solo meta di incessanti pellegrinaggi da parte di escursionisti, botanici, curiosi e amanti di riti propiziatori delle selve. C'era, in quell'abete bianco, un elemento immateriale che aveva a che fare con gli abitanti dell'Altopiano, gli eredi degli antichi Cimbri. Ecco perché dopo il suo schianto, avvenuto durante una tempesta di vento, giornali e televisioni annunciarono: «L'Altopiano ha perso la sua anima». Ma si sbagliavano. L'anima, un certo tipo di anima, prese forma da quel nobile legno grazie alle mani di un maestro liutaio, così come i due violini, la viola e il violoncello che l'avrebbero contenuta. E il Principe canterà per i secoli futuri. A partire da questa vicenda, Ferrari ci invita a seguirlo nel fitto del bosco dove tesse una trama esemplare, un vero apologo che ci esorta a scardinare la contrapposizione uomo-natura e al contempo a liberarci dalla mitizzazione del selvaggio, per trovare nella cura attiva dell'ambiente la via necessaria a preservare il pianeta e noi stessi.
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