Il tabaccaio di Vienna
È la tarda estate del 1937 e la vita del diciassettenne Franz Huchel, scivolata fino a quel momento nella quiete dell’idilliaca regione del Salzkammergut, si trova davanti a una svolta: sua madre ha stabilito che è tempo, per lui, di trovare un impiego, la loro situazione economica lo richiede. Così, già il giorno dopo, Franz è su un treno per Vienna, diretto alla tabaccheria di un vecchio amico di famiglia, dove sarà apprendista. La piccola tabaccheria è angusta e stipata fino al soffitto di chincaglierie, e da dietro il bancone nelle prime settimane Franz impara a conoscere i clienti, quelli che si fanno vedere di rado, entrando di corsa ed esternando le loro richieste senza prendere fiato, e quelli abituali. Un lunedì mattina le campanelle sulla porta emettono un tintinnio esitante all’ingresso di un anziano signore. La barba bianca è spuntata con cura e sul naso scintilla un paio di occhiali tondi con la montatura nera: è il professor Sigmund Freud, conosciuto nel quartiere come il medico dei matti, l’uomo in grado di aggiustare la zucca degli svitati danarosi e di insegnare alla gente come vivere una vita normale. Complice un cappello dimenticato, tra Franz e Freud si instaura una singolare amicizia, strana come può essere quella tra un ottantenne che ha trascorso l’intera esistenza con l’assurda idea di voler comprendere e alleviare le umane sofferenze, e un ragazzo che si affaccia alla vita e ai misteri dell’amore. Un’amicizia minacciata, tuttavia, dalle nubi scure che si addensano sull’Europa, con l’imminente annessione dell’Austria al Terzo Reich e i nazisti che controllano ormai la città e l’esistenza dei cittadini ebrei, tra cui il professor Sigmund Freud.
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