Ognuno riconosce i suoi
Milano, anni Novanta. Ogni giorno Caterina raggiunge l’ospedale dove è ricoverato il cugino Michele, si siede e aspetta. Ha comprato un quaderno, fogli spessi e bianchi su cui ricostruire la storia sua, di Michele e della loro famiglia. Un modo per riordinare il passato e per tracciare una strada che ricondurrà Michele a casa quando si sveglierà. I primi ad affacciarsi sulla pagina sono Sandro e Teresa, i genitori. Michele aveva quattro mesi quando sua madre, Anna, la sorella di Sandro, lo lasciò tra le sue braccia. In quei giorni di venti anni prima Anna non poteva prendersi cura del suo bambino. Inseguiva la sua guerra. Una guerra di cui i giornali del tempo non parlavano apertamente, ma che era visibile nei bastoni con i drappi rossi, nelle bombe incendiarie durante i cortei, nei pestaggi, nelle spranghe, nelle piazze esplose e piene di sangue, nei treni saltati. Qualcuno diceva è come in Cile, e allora poteva capitare che una ragazza come Anna pensasse che era giunta l’ora di suonare un’altra musica, la musica del tempo, il triste spartito degli anni di piombo.