Gianni Clerici agli Internazionali d'Italia

Gianni Clerici agli Internazionali d'Italia

«Sul vecchio campo centrale, gli occhi ciechi delle statue conservano il ricordo di match memorabili, vicende che hanno fatto la storia del nostro tennis, e anche un poco la vita del vecchio Scriba. Ricordano, le statue, la vittoria di Nicola Pietrangeli nel 1957, quella di Adriano Panatta nel 1976, e infiniti altri psicodrammi dei nostri eroi, dall’esito spesso felice, specie in Davis. In quell’ovale in travertino, i nostri campioni hanno avuto modo di soffrire, detestarsi, esaltarsi, come non è spesso consentito all’uomo della strada.» Simile ad anglosassoni quali Damon Runyon e David Storey, Paul Gallico e Nick Hornby, Clerici è uscito dai campi della descrizione sportiva per spingersi in quelli più vasti della narrativa. Non mancano, tuttavia, nei suoi romanzi e libri di racconti rivisitazioni dello sport, dal tennis (I gesti bianchi), al calcio, al golf (Il giovin signore) e al basket. «Scrittore bimane» si autodefinisce, ironicamente, Clerici usando uno dei tanti neologismi che trapuntano il suo gergo definito «lombardese» dalla filologa Maria Corti.
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