L'impressionismo e altri scritti sull'arte
Il Laforgue che il lettore di questo libro ha tra le mani non è il poeta e il drammaturgo figura apicale d'un certo simbolismo francese, non l'autore amato da T.S. Eliot, e neppure colui che in Italia ebbe nei crepuscolari e in Montale dei convinti ammiratori e in Carmelo Bene il meno prevedibile degli interpreti. È invece il giovane appassionato di arte moderna, e in particolar modo di pittura impressionista; è l'osservatore acuto di alcune importanti esposizioni tra Parigi e la Germania; è il poeta-critico-teorico (non aveva ancora deciso cosa fare, da grande) gravato di gran studio che prova a mettere a punto un'estetica per i tempi nuovi; è il flâneur che si muove tra gallerie e musei, emulo baudelairiano, e riempie i suoi taccuini d'appunti e osservazioni; soprattutto, è il Laforgue che venne rilanciato non senza clamore all'alba del Novecento, grazie all'edizione controversa ma utilissima dei Mélanges posthumes, il terzo volume delle opere complete edite dal «Mercure de France» nel 1903. È insomma il Laforgue letto da Ardengo Soffici, da Vittorio Pica, da Roberto Longhi, da quei pochi cioè che nell'Italia di quegli anni erano desiderosi di capire qualcosa di più, e qualcosa di meglio, nel merito della prodigiosa efflorescenza della pittura francese.