Lettere e scritti
«Purtroppo noi non abbiamo potuto partecipare, non avendo televisione, alla spedizione sulla luna, come avremmo voluto [...] quando non si può vedere niente, le cose sembrano troppo lontane ed estranee. [...] A parte qualche spedizione di tanto in tanto, non vedo che lo spazio e gli altri pianeti faranno ancora parte della nostra vita. Saranno forse i nostri figli e certo i nostri nipoti che vivranno in questa nuova dimensione. A noi non resta che applaudire i pionieri, con un fondo d'amarezza persino quando constatiamo che per finanziare il mondo di domani si lascia che quello d'oggi, che è il nostro, marcisca nell'ingiustizia, nella fame ecc. Pazienza. Certo è che quando uno passa il fiore del proprio tempo in un torrido studio a dipingere mettiamo un bottone, come faccio io, allora il dubbio sorge d'essere una mummia, un uomo delle caverne, alienato dal proprio tempo. Ma è solo un dubbio, perché guardandosi in giro le cose ci rassicurano: all'uomo d'oggi, all'uomo col quale m'intrattengo colla mia pittura, l'avventura spaziale è ancora profondamente estranea, mentre il bottone, eh, il bottone è cucito solidamente al tessuto dell'esperienza d'ognuno... Il ruolo degli artisti poi, incluso quelli d'«avanguardia» non è quello di indovini o di veggenti, ma quello antico di cronisti del proprio tempo, e il nostro tempo, ammettiamolo, è ben lontano dalla luna, per lo meno al livello dell'uomo comune.» (da una lettera di Domenico Gnoli alla madre, 4 agosto 1969)
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