Sub specie aeternitatis
Scrive della vita il poeta e scrive della morte anche quando parla d'amore, scrive di ciò che di più caro ha nel cuore e cioè la convinzione che il suo ricordo, che è ricordo solo suo anche quando parla di altri che con lui han vissuto lo stesso istante, sia riconoscibile come verità di presenza nel mondo; scrive infatti del suo vedere il mondo il poeta, con la spavalda fede che sia Verità e che sia Eterno ma il poeta sa che nella stessa operazione vi è errore perché non c'è niente di eterno ma tutto trapassa nel nulla. Eppure scrive dell'eterno il poeta, e scrive beffandosi della sufficienza di certe parole che se pur richiamate al loro ruolo, non sempre sanno svelare ciò che intende dire. Il nocciolo penso sia che il poeta sa cosa vuole comunicare, scrive sapendo il perché. La mia opinione è che scrive soprattutto per calmare la sua consapevolezza della finitudine. Questa raccolta propone alcuni testi tra i più incisivi scritti nell'arco di questi ultimi trent'anni, e in aggiunta nuove poesie; tutti i testi sono incentrati sui temi della finità, proponendo riflessioni sulla natura, l'amore, sul senso del vivere. Nell'insieme però le liriche propongono una profonda consapevolezza della bellezza del vivere espressa con metafore e brillanti accostamenti, in una magistrale chiarezza di linguaggio. Parlare della vita è giocoforza un richiamare la finità.
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