Belladonna. I delitti di Villa Rosa
Borgo Floreale, 2008... La cantina della storica Villa Rosa, un tempo spazio di lavoro dei domestici al servizio della famiglia Ronfanti, si presentava buia e polverosa. Nelle ultime tre notti che precedevano l'inizio dell'estate, in un'atmosfera quieta, scandita dai canti melodiosi delle capinere che svolazzavano tra i cespugli e gli alberi, una misteriosa presenza si addentrò furtivamente nel locale sotterraneo. Indossava una tuta nera con cappuccio e dei guanti bianchi, sulle spalle portava uno zaino rigonfio di rose. Nel tardo pomeriggio del 2 luglio, il giardiniere Amodeo si era recato a Villa Rosa per riattare il rigoglioso roseto e l'area verde che attorniava l'abitazione. Inginocchiato, con una cesoia in mano, iniziò a tagliare dei rami secchi ma, alzandosi in piedi per sgranchirsi notò, in un angolo privo di erba, un braccio fuoriuscire dal terreno. Si allontanò dalla villa, scioccato e tremante ma, con lucidità mentale, impugnò il cellulare e segnalò quanto visto alle forze dell'ordine. Nei giorni che andavano dal 25 giugno al 30, tre famiglie avevano denunciato la scomparsa dei rispettivi figli, Leone De Angelis, Brando Russo e Zeno Mancini. Il Pm Borselli, promotore e coordinatore delle indagini, e il commissario De Falchi, decisero di affidare il comando delle operazioni all'ispettrice Tonia Lucenti del XVI distretto di Polizia di Roma. L'ispettore Panzana, su ordine dello stesso commissario, venne escluso dalle indagini e, senza diritto di replica, fu relegato nella stanza dei fascicoli a occuparsi di elementari e degradanti lavori d'ufficio. Panzana, nonostante la presa di posizione del superiore, decise di seguire ugualmente il caso, con il fine unico di arrivare alla risoluzione dell'enigma prima della collega.
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