Daniel e l'uomo nero

Daniel e l'uomo nero

L'Uomo Nero esiste. Ne abbiamo contezza fin da piccolissimi, quando prende la forma del Babau che ci aspetta sotto il letto a tormentare le nostre notti, per poi diventare nel breve volgere di qualche anno la voce della coscienza dispensatrice di consigli per comportarsi bene ed essere buoni, di una bontà che si allinei perfettamente al senso comune. Da adulti è lo spauracchio in grado di tenere a bada tentazioni e pulsioni naturali, di illuminare il nostro viso di sorrisi di circostanza, di ghermire la nostra mano per condurci con passo leggero verso il sonno dei giusti. Nel concreto è questo l'Uomo Nero, ma - sembra dire l'autrice - questi sono in fin dei conti gli uomini gli uni per gli altri, in un mondo che ogni giorno riesce a seppellire i ricordi di un tempo che non c'è più sotto la frenesia della vita presente, vissuta sempre con il piede sull'acceleratore, tra bisogni indotti e il pungolo delle infinite possibilità di essere. Tra la pagine la figura di Daniel trapela appena, eppure la sua presenza si avverte in ogni riga a fare da contrappunto alle parole, «più che reale interlocutore immateriale» di questo dialogo intenso e coinvolgente.
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