Piaceri semplici
Questi Piaceri semplici – come la scrittura? – alludono in realtà a quel vuoto vorticoso che è in fondo l'altra faccia metafisica della «stanza tutta per sé». Una libertà guadagnata nell'insicurezza, nell'opacità con se stessi, nel conflitto che declina ogni amore e sorellanza. Un'indipendenza misurata con la debolezza, i commenti spietati, le circonvoluzioni dei dialoghi, gli immancabili non sequitur. Un gusto affilato dalla gentilezza, la curiosità, l'assoluzione; e dall'asciuttezza obliqua di una prosa sudata, vinta, cristallina anche nella sua umanissima ambiguità. Si dice che il rapporto di Jane Sydney Auer con la scrittura non fosse granché idilliaco. Per stilare una pagina soddisfacente poteva impiegarci una settimana, giudicava molte delle sue cose indegne di pubblicazione, le parole sembravano in grado di provocarle un dolore palpabile. Di che scrittura e di che scrittrice parliamo? È difficile non chiedersi se le sue donne le somiglino, se possano ricomporre l'unica immagine di un carattere inafferrabile, al pari della facciata novecentesca che ne abbiamo. L'imbarazzo fulmineo e la fuggevolezza di Alva Perry, l'eterea seduzione di Zodelia, l'innamoramento infantile della Señora Ramirez, la terrorizzata morbosità di Sadie per sua sorella Harriet, la piccineria della Señorita Còrdoba, tutte adombrate da figure maschili troppo aliene e insincere anche e soprattutto con se stesse. Nessuna come Jane Bowles ha mai descritto così nel dettaglio i labirinti ellittici del carattere umano – le fobie, le ossessioni, le paure, le idiosincrasie, i vizi.
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