Il vizio di smettere
Qualche tempo fa l'autore di questo libro si è chiesto a chi assomigliassero i propri personaggi. Quale carattere fosse possibile tratteggiare oltre le loro differenze di genere, età, orientamento sessuale e modo di raccontarsi. Intravedeva qualcosa, un'immagine composita. Alcuni di loro risultavano irretiti in grattacapi che l'autore stesso non avrebbe mai saputo risolvere, mentre altri sembravano annegare in un bicchier d'acqua: era possibile che, pur ricamando diverse sintassi, componessero un'unica trama? Perché a sentire di una madre intenta a tappare ogni spiraglio di luce per far dormire il figlio, e di una donna braccata dal proprio assicuratore, si era pronti a ipotizzare la stessa categoria d'ossessione. La stessa materia oscura a tenere unite le confidenze di un adolescente in attesa del migliore amico e la parabola di Wali Gupta, il colpevole uomo delle pulizie in attesa dei padroni di casa. Di cosa era fatto questo collante, una comune dif denza nei confronti del futuro? Forse, si è risposto l'autore, ma più quel leggero panico che ci prende quando crediamo ci sia qualcuno a scrivere i nostri passi, come un assassino inseguito dalla propria missione. Non è tanto il fastidio per i li, quanto le poche aspettative riposte sulla clemenza del burattinaio. E qualcosa di indefinibile, per cui si finisce sempre sul bancone del bar a prestare l'orecchio ai deliri di una vecchia, o sul divano di casa a dar retta a un gatto smorfioso. Un po' come tifare per la tartaruga, e quella sua cocciuta lotta contro Achille. L'autore se l'è chiesto varie volte chi o cosa fosse questo volto nascosto, e ogni tanto ha pensato di aver riconosciuto qualcuno. Dopo un po', però, non sapendo bene come porre la questione, ha deciso di smetterla con questo vizio di farsi domande, e si è rimesso a scrivere.
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