La morte e il cavaliere del re
«Per ritrovare un'intensità paragonabile a quella del teatro di Wole Soyinka il lettore e lo spettatore occidentali devono fare un viaggio a ritroso nel tempo, dimenticare il teatro borghese, i suoi rovelli psicologici, la retorica del silenzio e la desolazione dei dialoghi interpersonali. Nel teatro di Soyinka non c'è dialogo interpersonale, psicologico, ma dialogo tra l'uomo e le forze che incarnano o adombrano il destino. Soyinka, da grande scrittore, traduce la realtà africana e yoruba della sua tradizione orale in una forma declinabile sul palcoscenico occidentale. Sempre che si guardi, come modelli supremi, all'Occidente della Tempesta e del Dottor Faustus e non a quello di Cechov o Pirandello. Prescindere da tale tradizione è impossibile, a patto che si consideri che se Soyinka scrive è per fondare una tradizione scritta, proprio come fecero gli elisabettiani con i miti germanici o le novelle popolari italiane.» (Roberto Mussapi)