Calce o delle cose nascoste
Proposto per il Premio Strega 2020 da Filippo La Porta. Con la sua voce lirica e disincantata Raffaele Mozzillo torna a raccontare il Sud, Napoli e l’hinterland, le piccole vite che niente conoscono se non stanchi rituali cui aggrapparsi: e così ogni esperienza, ogni cosa nascosta è l’eredità che conduce verso una resa dei conti con un destino poco gentile, impietoso, finale. Micaela a sedici anni ha messo al mondo un bambino di cui nessuno sapeva nulla: questo evento è la luce che svelerà le ombre di ogni altro componente della famiglia Coppola. Tre generazioni della famiglia si diramano in questa storia: dall’hinterland del Sud Italia alla Svizzera, per poi tornare, emergeranno cose nascoste e concatenazioni di eventi che si stringeranno come un anello intorno ai Coppola, fino a soffocare la famiglia. Mentre la vicenda e le generazioni si ramificano negli anni, passano la migrazione italiana, i lavoratori stagionali, i bambini invisibili e i pregiudizi a non finire; il caporalato, l’impossibilità di vivere del proprio lavoro nei limiti della legalità e lo sfruttamento degli immigrati; e la Napoli notturna contemporanea, ambivalente e mai sazia di bellezza e brutture. Proposto per il Premio Strega 2020 da Filippo La Porta: «Perché è un reportage narrativo minuzioso sugli emigrati italiani (500.000!) in Svizzera negli anni Sessanta (percepiti come "brutti, sporchi e cattivi"), che ci fa entrare nelle loro baracche, e fin negli armadi dove si nascondono i bambini perché è vietata la ricongiunzione del nucleo. Perché ci racconta una storia recente che farebbe bene alla nostra coscienza civile di oggi, ricordandoci che la parola d'ordine degli svizzeri xenofobi – che per un soffio persero il referendum – era "prima gli svizzeri!" Perché è un romanzo epico-lirico, spietato e commosso, che tratta frontalmente la Famiglia, architrave della storia sociale del nostro paese, luogo quasi impenetrabile di affetti reali, perversioni segrete e scheletri nascosti. Perché è una narrazione polifonica, tra Italia e Svizzera, fitta di personaggi ritratti in modo incisivo e che disegnano una genealogia "mitica": dal patriarca mastro Michele – e dalla moglie Carmela – alla sorella Rosa, a Salvatore e Irina, a Micaela... Perché ci dà una rappresentazione della morte in un reparto oncologico che non ci dimentichiamo: "ogni morte tiene un alito specifico che soffia piano finché non c'è più. A quel punto quando la vita si è dissolta anche la morte muore, gli odori cominciano invece a rassomigliarsi tutti". Perché dal punto di vista della tecnica narrativa alterna la terza persona a una seconda persona usata in modo virtuosistico. Perché una bambina a 9 anni vede due tossici che si scambiano le siringhe e poi si baciano appassionatamente, fino a lasciarsi cadere a terra tramortiti, e ne resta segnata (straordinaria immagine simbolica di un quotidiano in cui si mescolano amore e degrado). Perché ci parla di crepe lasciate dalla calce sulla parete che non puoi sistemare con due colpi di spatola, e che ci costringono a una resa dei conti: o precipitando o aprendoci a una verità che potrebbe salvarci.»
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