Un negro voleva Iole. Racconti scelti e aforismi inediti
«Più di un eccentrico, più di un dimenticato: Marcello Barlocco è un caso unico della nostra letteratura, e non tanto per le sue vicissitudini (manicomio incluso). Le sue storie piene di animali dimostrano una tenace aspirazione all'"infamia"» - La Lettura «Il racconto che dà il titolo alla raccolta, Un negro voleva Iole, svela quell'orrore rozzo che l'uomo sa infliggere ai propri simili con atroce noncuranza» - Bruno Ventavoli, Tuttolibri «La casa editrice Giometti&Antonello stampa col titolo Un negro voleva Iole una selezione di racconti di Barlocco e un nugolo di aforismi inediti, corrosivi. Spesso si setacciano i beati matti per far cassa: Barlocco, semplicemente, è uno scrittore di genio» - Davide Brullo, Il giornale «Alcuni fra i racconti selezionati in questo volume (si prendano ad esempio Un negro voleva Iole, La caccia all'urogallo, La gatta) sono tra le vette della letteratura italiana del '900. E dunque una pubblicazione che andrebbe salutata come un vero e proprio evento nella nostra produzione di libri. Marcello Barlocco, come scrittore ebbe qualche tenue riconoscimento in vita. I suoi Racconti del Babbuino, pubblicati nel 1950 dalle Edizioni Pagine Nuove di Roma, ebbero una menzione al Premio Viareggio di quell'anno; nel 1952, per le Edizioni Ala di Genova, pubblicò il romanzo Veronica, i gaspi e Monsignore mentre negli anni '60 alcuni suoi «atti unici» - il cui testo è andato perduto - vennero messi in scena a Genova da Carmelo Bene. Ma in generale - in un'Italia in cui dominava il canone realista, e in seguito un'avanguardia che inseguiva piste completamente diverse - non ci fu spazio per una voce come quella di quest'autore non inscrivibile in alcuna corrente né italiana ma nemmeno internazionale. Il grottesco, l'allucinato, la metamorfosi incontrollabile degli esseri e delle situazioni, contiene echi che potrebbero evocare un Allan Poe, oppure l'espressionismo tedesco, a volte lo stesso Kafka o anche il romanzo dadaista, sempre tuttavia in un richiamo approssimativo. A ciò si aggiunge un percorso biografico che certo non fu di aiuto. Nato a Genova nel 1910 da una famiglia di farmacisti, Barlocco, dopo una parentesi adolescenziale di fuga come mozzo nelle navi (forse su imposizione della famiglia), provò a continuare la tradizione familiare laureandosi in chimica e farmacia, ma presto cedette al richiamo di una precaria esistenza di artista/scrittore randagio fra Genova, Roma, Milano, e alla fine venne assorbito dagli ambienti della malavita genovese e fu accusato di usare la sua scienza per raffinare la droga. Nel 1958 finì in carcere e poco dopo anche in manicomio criminale, che egli a sua volta denunciò di abusi efferatissimi nei suoi confronti (sosteneva lo si sottoponesse a esperimenti di mineralizzazione del corpo). Morì nel 1972 con all'attivo, oltre al libro di racconti e al romanzo menzionati, tutta una serie di novelle e articoli scritti per i giornali - fra cui, ecumenicamente, "Il Popolo" e "L'Unità" - ma di cui ormai restano poche tracce.» (dalla Nota degli editori)