Nella terra di nessuno. Diario di un orfano del comunismo
In forma diaristica l'autore propone la storia di una militanza politica, ripercorrendo, a partire dall'immediato dopoguerra, le vicende di un giovane comunista che, muovendo da un'adesione sentimentale al comunismo titino e da una formazione libresca, avrebbe attraversato nei successivi decenni i marosi della storia: ovvero la ridefinizione del paesaggio della geopolitica, la fine delle ideologie del Secolo breve e la mutazione antropologica del partito storico della Sinistra. Attraverso la lente delle sue personali vicende, l'autore prova ad analizzare la metamorfosi del partito guida della classe operaia in direzione di inedite "Vie" riformiste, cogliendo nella vocazione governista e nella propensione interclassista della sua dirigenza una debolezza progettuale destinata ad elidere l'anima rivoluzionaria ed eversiva del movimento operaio. Un processo i cui primi segnali l'autore coglie nella riduzione berlingueriana della specificita? dell'"essere comunista" ad una questione morale, nel tentativo di ancorare l'incipiente declino identitario ad un valore forte. Laddove, per l'autore, l'evocazione di una categoria estranea alla critica materialista avrebbe derubricato di lì in avanti ogni esercizio identitario ad una residuale pratica testimoniale. Nelle conclusioni, l'autore si interroga nondimeno sulle prospettive della Sinistra, sul "che fare?" di leniniana memoria, sulla possibilita? di trarre in salvo dal naufragio di un sogno generazionale alcune indicazioni utili a rinverdire, in forme e modi da inventare, l'aspirazione del comunismo alla trasformazione eversiva dell'ordine esistente.