Nudaluce
L'artista campano disse un giorno: "Io appartengo alla luce", ragionando su una vertigine metafisica che avrebbe segnato la sua visione della Natura, il suo legame con lo spazio abitabile, le sue campiture di colore mutevole. Emblema decise presto che tutto ruotava attorno alla luce, la pittura stessa era questione di luce, così come lo sguardo esisteva nel suo legame retinico con la luce. Si trattava di un viaggio a ritroso lungo il margine della Storia, un anelito alle origini della figura primordiale, verso lo scheletro cromatico che precede ogni abito della figurazione visiva. Emblema aveva deciso negli anni Cinquanta che la pittura poteva fare a meno della pittura. Nel senso che il quadro meritava un ragionamento autonomo, relativo alla natura biologica della superficie, del colore, delle materie coinvolte. Era questa un'attitudine diffusa tra maestri informali e difensori del colore poetico come Mark Rothko, Barnett Newman o Clyfford Styll; la stessa che colse Emblema in giovane età, quando soggiornò negli Stati Uniti e scoprì gli esiti drammaturgici di un'astrazione radicale, portata alle massime conseguenze da Jackson Pollock e Yves Klein...