La metamorfosi dei papaveri
Un thriller politico, ambientato, in un futuro non troppo lontano, nel contesto del conflitto israelo-palestinese; dove la scienza e le nuove frontiere della epigenetica diventano strumenti per sconfiggere la violenza e l'odio e favorire quel processo di pace atteso da decenni. Gli scenari sociopolitici e le scoperte biochimiche si intrecciano in un mosaico tale da lasciare costantemente il lettore in equilibrio sul sottile filo che separa la realtà oggettiva dalla verosimiglianza di ciò che ancora non è, ma che potrebbe essere. I vari personaggi, sapientemente descritti dall'autore, acquistano da subito connotati molti netti e per i quali, nel bene e nel male, è facile simpatizzare; icone involontarie di valori, di pregi e di difetti. Ma sarà l'evoluzione interiore, la metamorfosi, che alcuni di essi compiranno nel corso della narrazione, a provocare l'esito finale, che, simbolicamente, si andrà a chiudere nei pressi del muro del pianto nel giorno più solenne della tradizione ebraica, lo Yom Kippur. Ed è così che una pediatra e un informatico palestinesi; un medico, un farmacista e una biologa israeliani; un fantomatico e inafferrabile killer inglese, tutti sotto l'implacabile e oscura presenza dello Shin Bet, il servizio segreto israeliano ben coadiuvato da CIA e FBI, provocano inevitabilmente nel lettore riflessioni politiche e morali che si accavalleranno alla tensione narrativa del thriller. E i papaveri, fiori simbolo di quella terra e di quei popoli, così fragili, se presi da soli, ma inebrianti e travolgenti nella loro moltitudine di un campo sconfinato scosso dal vento, sono la raffigurazione più calzante del senso di ineluttabile malinconia che traspare tra le righe e narra di un territorio dilaniato da odio secolare, ma così densamente impregnato di significati religiosi, etici e morali.