Trieste meravigliosa. Storie quotidiane della città tergestina
Scattare una foto ricordo a braccetto con James Joyce. Usare nomi in codice per chiedere un caffè al bar. Essere sorpassati a sinistra da un cassonetto delle immondizie in fuga. E ancora: il giallo della pipa scomparsa di Saba. A Trieste, ordinaria amministrazione. Una città stravagante, irriverente e nostalgica, dove puoi trovare Claudio Magris seduto a un tavolino dello storico Caffè San Marco e incontrare "la contessa" mentre fa la sua promenade quotidiana, impeccabilmente vestita in abiti di fine ottocento o primo novecento. La città del "se no i xe mati, no li volemo" (se non sono matti, non li vogliamo) e del "no se pol!" (non si può!), dove abitano "nagane" (i coatti triestini) e "mati tuti in tiro" (persone "tirate a lucido"). E "mato" non significa solo "matto", ma anche "tizio", chiudendo il cerchio: "se no i xe mati, no li volemo". Una follia collettiva. Tutta colpa della Bora. Forse.
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