Siamo rimasti in 88 al manicomio
La poesia di Miù Jacqueline è una danza di colori accesi, uno sciabolare di fiamme nella notte, un canto che uncina la speranza; sembra che l'autrice scriva versi per dare tregua a suo fantasmi interiori, per placare la sua anima tempestosa. Ma il suo non è un ripiegare nella trincea più sicura, un semplice tentativo di sedare il subbuglio: vive in modo poetico ed ama questa sua condizione e gli estremi e gli eccessi conseguenti ad una scelta dal sapore così "romantico", così decisamente e violentemente indirizzato verso valori e miti ideali. È l'eroina di un'opera ch'ella stessa scrive, è artefice del suo destino e delle forze che sceglie di non contenere, ma di vivere nella pienezza delle passioni. Le due poesie scelte sono emblematiche di questo modo di intendere l'esistenza e l'arte che ne è espressione. Anzi: è l'arte a diventare vita ed a rendere la poetessa (o i poeti, visto che a volte si ha la intrigante sensazione che a scrivere sia più di una penna) una!
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