Alla città nemica. Diario di una donna di campagna
"Alle dieci di mattina, che sarebbero le nove per il sole e la terra, ci sono ventisei gradi all'ombra. Qui, su questo cocuzzolo esposto a tutti i venti, ma i venti non ci sono, a piú di cinquecento metri d'altezza sulle colline della Toscana. Tutt'intorno i cipressi, sempre piú secchi. Ogni sera cerco di annaffiarne qualcuno, mentre dò l'acqua al giardino: agli arbusti, ai vasi coi fiori ma anche alle erbe spontanee, persino ai piccoli rovi superstiti. Questo, non l'avevo mai fatto prima. Ma prima non c'era mai stato un tale caldo. Mio figlio, mentre passa e mi vede bagnare i cipressi ogni giorni piú secchi, mi grida: - Non sprecare l'acqua! - Forse ha ragione ma a me non sembra uno spreco: ogni goccia d'acqua che faccio cadere sulla terra so che nutre e disseta. Piante, erbe, insetti, batteri; e tutti loro sono la vita. In quest'estate micidiale, ogni piccola erba e pianta che riesce a sopravvivere mi sembra un aiuto alla nostra salvezza. [...] Intanto che annaffio, che consento a tutte queste piante di sopravvivere un altro giorno, che mantengo quest'oasi di verde e relativa frescura in mezzo alle colline polverose e aride, passa ogni tanto nel cielo sopra di me qualche elicottero privato. Passa qualche aereo da guerra. Passano gli aerei di linea con la gente che in aereo va in vacanza o lo preferisce al treno per recarsi al lavoro. Passano i nemici". (Dall'introduzione dell'autrice)
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