Utopia selvaggia. Saudade dell'innocenza perduta. Una fiaba
Una fiaba espediente che trascina in continue riflessioni poste dallo stesso autore, “Utopia selvaggia” è infatti in constante dialogo con il lettore e la lettrice sia per ipotizzare una spiegazione degli accadimenti della storia di Pitum sia per esaminare passo passo il processo che la nostra mente attua quando si trova di fronte usi e costumi sconosciuti. “Chi siamo noi, se non siamo europei, e nemmeno siamo indios, se non una specie intermedia, tra aborigeni e spagnoli? Siamo coloro che furono disfatti in quel che eravamo, senza mai arrivare ad essere quel che saremmo stati o avremmo voluto essere. Non sapendo chi eravamo quando permanevamo innocenti in loro, inconsapevoli di noi, ancor meno sapremo chi saremo.” ‒ Darcy Ribeiro I Tropici di Darcy Ribeiro non sono affatto «tristi», come lo furono invece quelli di Claude Lévi-Strauss. La dimensione antropologica di «Utopia selvaggia», romanzo partorito dalla rabelaisiana fantasia di quest'autore, è attestata non solo dalla generica ambientazione del libro nella foresta pluviale, ma prende corpo soprattutto nelle numerose focalizzazioni su usi, costumi e manufatti del mondo indigeno che Ribeiro inserisce, sempre in modo pertinente, nel tessuto narrativo rendendole parti integranti dell'incredibile vicenda vissuta dal protagonista. Da defunzionalizzati reperti custoditi in un museo etnografico o da pedanti informazioni scientifiche racchiuse in un trattato d'antropologia, i dettagli «etnici» da lui sparsi a piene mani in queste pagine riacquistano così il loro più autentico valore di cose e istituzioni intimamente connesse con la vivente realtà del mondo amazzonico. Una realtà che Ribeiro rappresenta senza alcun atteggiamento nostalgico, ma mostrando anzi quel pizzico d'ironia che s'addice a chi delle sorti di quel mondo è sinceramente partecipe, pur trovandosi costretto, per provenienza sociale e formazione culturale, a osservarlo con occhi d'estraneo.