E tu che mangi il gelato

E tu che mangi il gelato

Agita il braccino quando va a fare shopping inventando deliziose coreografie; ama dire "a zonzo" molleggiandosi placidamente sulle zeta e sogna un dispensa che al posto delle scatolette di tonno abbia uova e farina "come nelle famiglie vere". Un giorno di novembre si ritrova a dipingere un lampadario in carta di riso e non poter più smettere di fissarlo: ha appena ricevuto da F. uno dei più crudeli messaggi della sua vita, e il dolore è lancinante. Da allora le capita di non respirare più tanto bene, di chiamare al telefono il fratello e dire "muio, muio!" e poi magicamente sopravvivere. Sempre grazie al gelato. Se in "Cara" Lucio Dalla incastonava nell'omonimo verso le macroscopiche discrepanze dell'innamoramento, "E tu che mangi il gelato" è la descrizione di un amore a senso unico che diventa il pretesto per raccontare la difficoltà di stare al mondo, di trovarsi, scegliere di farsi posto e, alla fine, salvarsi. Una voce irreverente e deliziosa con cui la protagonista non lesina commenti politicamente scorretti. Una tragicommedia pop, serissima nella sua agonia; un testo dal linguaggio fresco, rivoluzionario, incalzante nell'emergenza di raccontare le cose del mondo e la vita fuori che fa paura sì, ma è bella da morire. Tra amici "da indossare come un maglione caldo le mattine di febbraio", case da cambiare, aitanti ragazzi biondi che girano in doppiopetto e regalano libri inappropriati. Essenzialmente, un romanzo sull'importanza della felicità.
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