La settima fata
“Mario aveva i capelli tagliati corti, ma ciò che mi colpì furono i suoi occhi, d’un azzurro profondo, colmi d’attenzione e di tristezza – come spesso accade con gli italiani del sud – mentre le sue maniere raffinate incantarono mia moglie. Nonostante la sua giovinezza, era una sorta di eremita, pur vivendo fra la gente; non si mescolava con nessuno, neppure con la comunità locale d’italiani. Era una sorta d’uomo medievale, e assomigliava a quei ronin giapponesi, che spesso rappresentavo nei miei romanzi; avvertivo qualcosa di selvaggio, che era visibile sotto alla sua pelle ma, provenendo da un mondo completamente diverso dal mio, non riuscivo a decifrarlo chiaramente. Sentii l’impulso d’aiutarlo, perché provavo simpatia per lui. Oggi, potendo osservare tutto da lontano, credo che mi parve un uomo che stava entrando in un’agonia che precedeva la distruzione. Ebbi la percezione che stesse tramando qualcosa di grande fin dal primo momento in cui lo vidi (il mio istinto da reporter) e sono stato attratto da lui come una falena alla fiamma. Con il senno di poi devo ammettere che quello fu il più grave errore della mia vita, e per me l’esserne uscito vivo e immacolato è stato un grande colpo di fortuna. Avrei dovuto restarne fuori del tutto, continuando la mia vita da giornalista che pensa di poter descrivere tutto…ma se lo avessi fatto non avrei nessuna storia da raccontarvi in questo momento.”
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