A proposito di Enrico. Tra democrazia difficile e addio al comunismo
Trent'anni fa moriva Enrico Berlinguer. Una "morte bianca" la sua, mentre parlava ai tanti comunisti accorsi per sentirlo a Padova. Riuscì a finire il suo "turno", da "operaio" della politica, ma fu l'ultima volta. Di quel sardo minuto e dai lineamenti sottili, al netto dell'agiografia di un partito che sapeva (e doveva) creare il mito del capo, si capì subito che altro sarebbe rimasto nell'immaginario di un paese sempre pronto a dividersi. Qualcosa che metteva d'accordo tutti: la consapevolezza che quella di Berlinguer era la faccia migliore della politica, quella onesta e perbene. Ma l'onesto Berlinguer non è stato solo l'uomo dello Strappo da Mosca, della stagione della solidarietà nazionale, dell'austerity e della questione morale. Al leader del PCI non mancarono intuizioni su temi sui quali oggi si aprono le prime pagine dei giornali: le riforme costituzionali, perfino la "democrazia delle rete". Agli inizi degli anni '80 è lui a proporre il superamento del bicameralismo, giudicato un "ostacolo e un appesantimento dei lavori parlamentari", immaginando l'approdo a una "assemblea parlamentare unica". E sul tema, oggi caldo, della rappresentanza ai tempi di internet, già nell'83 avvertiva: "Non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l'unica forma di espressione democratica diventerà quella di spingere un bottone".
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