Dodici storie di Corfù

Dodici storie di Corfù

Corfù, fine Ottocento. Le voci degli umili del corfiota Konstantinos Theotokis, giovane rampollo di una famiglia di antica aristocrazia, ci raccontano, con accenti drammatici e con la poesia della loro lingua, la fragilità della vita e un mondo rurale contrassegnato da popolani e possidenti, da miseri e contegnosi, da rancori mai sopiti e da continue vessazioni. È un mondo cui essi con sofferta introspezione psicologica non si rassegnano, ma dove si dibattono fino all’ultimo respiro per sopravvivere a miserie, amori infelici, angherie, fratricidi, assassinii, suicidi e progetti incestuosi. Veglia su di loro la campagna corfiota, dove tutto sonnecchia nei meriggi autunnali e nelle notti tenebrose, fra rovine di antichi templi e viottoli aspri e bui, fra ulivi attorti e il dolente canto dell’assiolo: essa si spiega fra il variegato verdeggiare dei fitti pendìi che si ergono su una terra selvatica e primitiva e il diafano o fosco lume del cielo, che fa da volta alla pianura, cullata dall’eco sommesso dell’acqua in una gora e dai suoni erranti delle pecore e del mugghio dei buoi. L’accurata descrizione, effusa in tutti quei dettagli su cui lo sguardo dell’autore si posa, risponde a un desiderio di realismo che tuttavia si stempera in un intimismo idilliaco e malinconico.
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