L’iride nel fango. L’Anguilla di Eugenio Montale
Esito supremo di un ideale poetico, "L’anguilla" (1948) sintetizza tutto il percorso precedente di Montale, dagli "Ossi di seppia" fino alla "Bufera" (in cui è raccolta), e al tempo stesso annuncia l’ultima fase della sua poesia. La lettura di Francesco Zambon fa affiorare progressivamente, a partire dall’immagine dell’anguilla, una costellazione di elementi (oggetti, emblemi, temi, fantasmi) che si richiamano da un testo all’altro: epifanie e oggettivazioni di una dimensione sotterranea nella quale si costituiscono le ragioni del lavoro poetico montaliano. Il lungo viaggio nell’acqua e nel fango diventa la metafora dell’oscura sopravvivenza e del misterioso ritorno del passato: il grande tema dell’animale-vittima sacrificale, terrestre divinità e angelo “di cenere e di fumo”, si inscrive in un geroglifico del destino umano, di quella “vita di quaggiù”, come scrive Montale, “infinitamente cara quanto più prossima è a sfuggire”.