Il cinema di Truffaut
François Truffaut: il giovane cinefilo che, all'inizio degli anni Cinquanta, inventa un nuovo modo di fare critica, scoprendo Hitchcock e il cinema americano; il regista che inaugura la Nouvelle Vague con I quattrocento colpi; e soprattutto l'artista che sa trasformare il personale in universale, e rivolgersi a tutti gli spettatori, ma parlando a uno a uno, confidenzialmente. I suoi film, al contrario di quelli di molti suoi compagni d'avventura, restano, inattaccabili dal tempo che passa, e il vuoto che ha lasciato alla sua morte, nel 1984, è uno dei più lancinanti nel cinema contemporaneo. Paola Malanga ci racconta un Truffaut a tutto tondo, maestro di insolenza e di tenerezza, capace di amori dissennati e di odi furibondi, e allo stesso tempo ricostruisce un'intera epoca, quella dei «Cahiers du cinéma» di André Bazin e della Cinémathèque di Henri Langlois, sullo sfondo della guerra d'Algeria e del Maggio '68. Senza rinunciare a un'analisi dettagliata film per film, chiedendosi ogni volta le ragioni di successi e flop, capolavori e mezzi fallimenti. Che è l'unico modo per rendere giustizia a un uomo che Gérard Depardieu ha descritto con queste parole: «Era un ribelle, un estremista in tutto. Ed era generoso sempre dieci secondi in anticipo sulla generosità degli altri, come Platini sul pallone. Con un'eleganza folle». Fa bene rivedere i suoi film, fa bene ripassare la sua vita. Perché sia i film che la vita di François Truffaut ci ricordano che è sempre possibile sottrarsi a destini decisi da altri - la società, gli algoritmi, il sistema del consenso, la logica del consumer - per scrivere la propria storia. Prefazione di Paolo Mereghetti.
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