Cùntura
Un papà, che è anche un poeta, racconta alla figlia bambina, prima che si addormenti, una fiaba. Lo fa ogni sera, inventandola e recitandola seduta stante. Poi, man mano, prende la decisione di scrivere tutte le storie che il cuore e la fantasia gli hanno dettato. E di scriverle nel suo bellissimo dialetto marsalese, le cui parole sono antiche, dure, sonore. Un dialetto che dà forma, l’unica forma possibile, all’evento del “cuntu”, il racconto orale della tradizione siciliana. Tra i protagonisti di questi ventuno racconti in versi possiamo annoverare volpi e lombrichi, ricci e maiali, lucertole e gazze ladre. Anche gli uomini hanno diritto, certamente, ad apparire in questo microcosmo narrativo rurale, governato da leggi che la voce del narratore, con sapiente naturalezza, ci svela poco a poco. Ma la presenza umana non è mai sottolineata gerarchicamente, e si direbbe che l’importante, in questo libro così particolare, è l’appartenenza di tutti, uomini e bestie, al passeggero destino di esistere. Nino De Vita ha cominciato a lavorare ai suoi racconti in dialetto nell’ormai lontano 1989 e non ha mai smesso, da allora, di arricchirli e affinarli. I “Cùntura” sono, per questo, una parte speciale e unica della produzione di De Vita, e l’unico suo libro in cui il racconto scaturisce direttamente dall’oralità. Un ritorno sorprendente alla poesia, maturata nell’arco di più di trent’anni, da parte di un autore tanto appartato quanto essenziale, che nel corso del tempo ha ottenuto l’attenzione e la stima di alcuni dei maggiori intellettuali del Novecento come Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia ed Enzo Sellerio.