Una fede in niente ma totale. Nuova ediz.

Una fede in niente ma totale. Nuova ediz.

"Da più di quarant'anni Claudio Parmiggiani fa cantare il fuoco e la terra, l'aria e il fumo, il legno e la pietra. Le sue sono sculture d'ombra, come le ha definite Georges Didi-Huberman: figurazioni nelle quali i corpi e gli oggetti, tutto l'universo della vita insomma, viene evocato in absentia. È un'arte della sottrazione, di una rarefazione ascetica, in polemica esplicita con la mondanità frastornante del narcisistico «sistema dell'arte» contemporaneo. Quest'arte tuttavia evita sempre la béance del puro gioco intellettuale: la sparizione che Parmiggiani mette in scena (non manca nel suo lavoro una componente paradossalmente teatrale) ha sempre qualcosa di traumatico, spesso alludendo alle scomparse laceranti di cose e persone «emigrate» (per dirla con W.G. Sebald) - travolte dai flutti, bruciate dal rogo della storia. È un'arte squisitamente, talora brutalmente materiale; ma che conserva sempre l'anelito a una dimensione trascendente, a un'oltranza che non è di questo mondo, allo «spirituale dell'arte». Un'arte senz'altro religiosa, insomma, che tuttavia non può essere ricondotta a ortodossie di sorta: una fede in niente ma totale è quella che appunto attribuisce a sé l'artista. Sin dall'inizio della sua parabola Parmiggiani accompagna la figurazione con l'esercizio della parola scritta. Versi, prose liriche e autobiografiche, apologhi, dichiarazioni e interviste. Come se la sua ostinata reclusiveness fosse in realtà sempre rivolta a qualche segreto interlocutore, a sua volta presente in absentia: il suo è davvero un «silenzio a voce alta». E spesso questa parola restituisce le chiavi segrete di un'opera, la sua, come nessuna oggi sostanziata d'enigma; riconduce questo mondo nebbioso e metafisico a «incipit» di sorprendente eloquenza, immagini memoriali dai colori vividi e violenti. Come già in passato per raccolte parziali dei suoi testi, anche in questa più organica occasione Parmiggiani non ha voluto associare alcuna immagine alle sue parole: sebbene spesso esse alle proprie opere ovviamente alludano, in forma più o meno diretta. La sua finisce per essere, così, più che una scrittura "figurata" una scrittura figurale, nel senso antico descritto da Erich Auerbach: una scrittura che evoca e attende cioè, ma in effetti spettralmente già include, il proprio balenante complemento d'immagine. Come il seme nella parabola evangelica è una parola che s'interra, che sprofonda nelle viscere del cosmo: essa sa che solo morendo può rinascere a nuova vita." (Andrea Cortellessa). Prefazione di Jean-Luc Nancy.
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