Dante e la dimensione visionaria tra Medioevo e prima età moderna
Che cosa significa che la Divina Commedia è il racconto della visione dell'aldilà che Dante afferma di avere avuto, il resoconto di ciò che giura di avere visto? Queste affermazioni sono "vere", e in che senso possono esserlo? O sono fittizie, giustificate dall'eccezionale inventività poetica dell'autore messa al servizio di una auto-assegnata missione di rigenerazione della Cristianità? Il dilemma fra queste due interpretazioni polari rischia di essere indecidibile e sterile, ma questo volume, frutto di un seminario interdisciplinare tenuto all'Italienzentrum della Freie Universit& di Berlino sotto l'egida della Fondazione Alexander von Humboldt, porta risultati originali che fanno fare passi avanti alla nostra comprensione dei fatti. Il retroterra di Dante viene illuminato in varie direzioni: dal possibile rapporto con la mistica ebraica e con quella islamica, all'onirismo antropologico tardo antico e medievale, alle tradizioni teologiche e profetiche legittimanti la visione dell'aldilà, all'onirismo lirico o allegorico circolante nelle tradizioni poetiche gallo-romanze. La vocazione visionaria di Dante viene saggiata nella Vita nova e nel Convivio e messa alla prova della testualità del poema sacro. Si interroga il significato dei "Danti dormienti" nelle antiche illustrazioni della Commedia. Ed emerge la cesura epistemologica che separa Dante dalle riprese del genere "visione in Petrarca e Boccaccio. Su tutto ciò il lettore troverà in questo libro molte idee nuove.
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