Tutte le forme di vita
«Parlare e scrivere fanno emergere lo strato profondo e arcaico della conoscenza, la vox di un'innocenza originaria, pur nell'accettazione di una learned helplessness, la consapevole impotenza. Individualizzata è la scrittura, non l'autore. È un dono poter fare ascoltare la voce della poesia. Le parole soffrono dell'azione riduttiva del parlare, oggi, nella lingua italiana immiserita. Si specchia nel fare poetico la frantumazione del discorso - pur mantenendo la scelta dell'endecasillabo quale naturale forma espressiva dell'italiano. L'irrompere dei fatti è impersonale, a volte sembra non avere un fine né un destino, per cui "gli altri", "i contemporanei", che pure sono testimoni del tempo, nel sogno, nel respiro, oscurano le istanze individuali, ci appaiono anche incomprensibili, nel teatro di tutto ciò che accade, ma lo spazio interiore è più ricco: anche l'incompletezza accade, il fiume accade, l'aquila accade, il filo d'erba accade. Nella compattezza del testo (testo, contesto), l'Autore, che sia narratore o poeta, si rifà all'etimo di "autorità", per come usa la lingua che è il materiale della fabula, della poetica, con anche residui di vulnus incistati nella historia. Tutte le forme di vita sono nell'organismo della poesia, nella réve-rie naturale del gatto, nell'essere veggenti delle cicale, nell'espressione improvvisa, a-logica del discorso. L'Impero spiana, omologa: si fa strada fulmineamente, nel flusso ignoto alla scrivente, l'imago cercata, giusta, nel senso che esprime l'enunciato di Wittgenstein: "Noi ci facciamo immagini dei fatti" (Quaderni 1 9 1 4- 1 9 1 6), rivelando anima e designando mondo. Designare mondo è il fine della scrittura. Il dramma è tutto nello spazio interiore. Non Autore onnisciente, quindi, ma il garante del senso da contenere e trasmettere nel lasso della propria esistenza, e a seguire.» (Claudia Azzola)
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