Fuoco al cielo

Fuoco al cielo

Proposto per il Premio Strega 2020 da Maria Rosa Cutrufelli.Finalista del premio Viareggio-Rèpaci 2019 per la Narrativa. Ispirato a un fatto di cronaca che ha disorientato il mondo, "Fuoco al cielo" racconta del male ubiquo che appartiene alla Storia ma che si rintana anche all'interno di ogni amore assoluto: perché la "città segreta" non è solo un luogo reale di distruzione e segregazione, ma anche il nodo più intimo e pericoloso di ogni relazione, dove i confini tra il sé e l'altro si confondono e può bastare una parola, un gesto, un grumo di silenzio per far crollare ogni cosa o metterla per sempre in salvo. Tamara e Vladimir vivono a Musljumovo, remoto villaggio al confine con la Siberia, tra caseggiati in rovina e fabbriche abbandonate. Vivono in un'area geografica per decenni assente dalle mappe: quella della "città segreta", luogo sinistro da cui era vietato uscire e comunicare con l'esterno, responsabile negli anni '50 e '60 di ben tre catastrofi nucleari. Vladimir, infermiere di buona famiglia, è arrivato da Mosca, scegliendo di prendersi cura di chi non ha niente, delle persone dimenticate dal mondo. Tamara, insegnante, è invece nata e cresciuta nel villaggio, e abituata a pensare che ogni cosa sia destinata a contaminarsi e guastarsi velocemente. Incontrandosi, i due vengono sorpresi da una passione totalizzante che si appropria di ogni pensiero, e accende un bagliore salvifico persino lì, nel luogo più radioattivo del pianeta, in mezzo ai resti di una natura satura di veleno. Questo sentimento così tenace, che sembra schermarli dalle insidie del reale, li rafforza e li divora al tempo stesso, finché un evento prodigioso arriverà a sconvolgere le loro vite e le loro certezze. Proposto per il Premio Strega 2020 da Maria Rosa Cutrufelli: «Il romanzo racconta una storia davvero singolare. Una storia dei nostri tempi, ambientata in un paese al confine con la Siberia, devastato dagli esperimenti nucleari. Qui s'incontrano Tamara e Vladimir, ma il loro amore è avvelenato come la terra che calpestano. Come la creatura che Tamara trova nel bosco, un "bambino che non somiglia alle cose del mondo". Un piccolo essere che forse è umano e forse no e che scatena reazioni incontrollate e incontrollabili in quel paese sperduto, abbandonato a se stesso. La vicenda è realmente accaduta ma, nel racconto di Viola Di Grado, la cronaca si trasforma e diventa subito metafora: dei mali del mondo, ma anche di quell'amore pericoloso che pretende di guarire tutto con la sua sola forza. Una narrazione che a poco a poco si carica di suspense fino a diventare una storia "nera", di emarginazione e di follia, scritta con un linguaggio straniante, mai artificioso. È sorprendente la capacità dell'autrice di forzare la lingua, con accostamenti azzardati e scivolamenti di senso molto suggestivi. Uno stile particolarissimo per raccontare l'amore al "tempo dei veleni". Un romanzo ricco: per stile, per contenuto, per l'insolita ambientazione.»
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