La febbre del gioco

La febbre del gioco

«A Wiesbaden ho messo a punto un sistema di gioco, l'ho applicato e ho vinto subito mille franchi. La mattina dopo non l'ho seguito, mi sono agitato e ho subito perso.»È molto semplice e stupido, scrive Dostoevskij, il segreto che permette di vincere al gioco: basta controllarsi continuamente. Ma una volta saputo il segreto, saremo in grado di applicarlo? Per quasi dieci anni, dal 1862 al 1871, Dostoevskij non ci riesce. Febbrile e irrazionale come ogni vero giocatore, le sue mani sono "incatenate al gioco". Vince alla roulette, si ripromette di andarsene, di pagare i debiti; poi torna al tavolo da gioco, e non si stacca finché non perde tutto, "tutto!". Si umilia, si dispera, chiede a moglie e amici i soldi per il biglietto di ritorno, e va a giocarsi anche quelli. Sono gli anni in cui scrive Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, Il giocatore, I demòni: leggendo queste lettere turbinose pare che scriva soltanto sotto la pressione dei debiti di gioco, per continuare a giocare. Deve toccare il fondo, per ritrovare la concentrazione e concedersi di scrivere, pensa Anja, la seconda moglie. Il gioco per lui era un modo di punirsi? si chiede Freud in un passaggio chiave di Dostoevskij e il parricidio. L'avventura di un uomo e una piaga sociale allucinante: queste pagine raccolte da Fausto Malcovati lasciano senza fiato.
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