Lo spleen di Lucio. Guida all'ascolto dei dischi bianchi di Lucio Battisti e Pasquale Panella
Quando uscì Hegel (1994), il quinto e ultimo lavoro della coppia Battisti-Panella, un giornalista chiese un parere ai maggiori esponenti della filosofia italiana e la risposta fu un'unanime stroncatura, non era materia da mescolare con la musica leggera (la filosofia-pop era ancora lontana) e nessuno degnò di un ascolto approfondito il disco, altrimenti almeno uno di questi studiosi avrebbe notato, con la competenza che mancava ai critici musicali (non ce ne vogliano), che non parlava tanto di Hegel, quanto di Hölderlin; per di più, gravava il pregiudizio, duro a morire, che il cantante in questione era più adatto ai falò estivi sulla spiaggia. Era un'etichetta che Battisti si trascinava dietro e che aveva provato a cancellare negli otto anni con Pasquale Panella. I cinque dischi contrassegnati dalla copertina bianca non sono solo album di canzoni, andrebbero visti come i capitoli di una riflessione critica. I testi di Pasquale Panella non sono semplici giochi di parole, ma celano intriganti esperimenti poetici: don giovanni è una riscrittura de I fiori del male di Baudelaire cucita sull'icona di Battisti, l'apparenza è una meditazione fenomenologica sulla scrittura, la sposa occidentale una variazione a tema sulla figura femminile nell'opera di Baudelaire, cosa succederà alla ragazza un raffinato spin off di Ulisse di James Joyce, hegel un pastiche che intreccia Finnegans Wake di Joyce, Iperione di Hölderlin e l'etica di Lévinas... Forse non aveva torto quel giornalista a interpellare più che un critico musicale, un docente di filosofia.