Riflessioni sulla struttura del tentativo nella cultura giuridica italiana
«Poniamo una premessa, che trova ragionevolmente concordi tutti gli studiosi, prendendo avvio proprio dalla questione della descrizione legislativa, generale ed astratta, della figura del tentativo. Volendo utilizzare rispetto al delitto tentato l'oggi particolarmente accreditata categoria dei "formanti" che si deve a Rodolfo Sacco appare infatti palese in rapporto a questo istituto, che negli ordinamenti che escludono di incriminare con il tentativo la mera volontà criminosa, il "formante legale" si mostra del tutto incapace di costituire un vero "formante" e che le interpretazioni - tutte le interpretazioni del dettato legislativo - finiscono per trovare altrove, in un "altrove" lontano da un orizzonte ermeneutico di stretto diritto positivo, la loro ragione d'essere. Non basta una formula, ovvero un "formante legale" ad evitare l'inevitabile conclusione che il delitto tentato non conosce la figura geometrica della linea retta per tracciare una volta per sempre il confine del suo territorio. In altre parole, pur essendo chiaro che la fattispecie sul tentativo è destinata a stabilire le condizioni della incriminazione ma non costituisce mai il precetto che l'agente intende violare con la sua condotta (precetto che è sempre quello del reato consumato), il "formante legale" appare insomma come un "formante" che non forma. Peraltro, neppure gli altri "formanti" principali, quello dottrinale in primo luogo, paiono in grado di fornire soluzioni appaganti e tranquillizzanti e forse non può essere che così (...)» (dall'introduzione)
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