Dallo Stato di diritto al diritto dello Stato. Giusformalismo e fascismo
Se un atto rivoluzionario si configura come rovesciamento radicale di un regime politico a favore della costruzione di nuovi ed originali assetti "costituzionali", per il fascismo, fuori dal propagandismo antiliberale e dalla polemica contro l'inane e decrepita democrazia parlamentare, di vera rivoluzione non si può parlare. Lasciando consapevolmente da parte le configurazioni che il regime avrebbe assunto nell'ultima sua fase, nel suo periodo di "fondazione", più che di un nuovo assetto totalitario, si è trattato di perfezionare caratteri che lo Stato liberale aveva già finito per assumere al tempo della sua crisi. L'indagine compiuta in questa sede vuole fare particolare (anche se non esclusivo) rifermento al lavoro della dottrina giuspubblicistica di formazione liberale alle prese col fascismo negli anni della sua affermazione e, come si suole dire, del "consenso". A parte i più intransigenti che vedono la dittatura come un "assoluto cominciamento", esiste un'ampia schiera di giuristi lungimiranti che considerano il regime come non sorto dal nulla e percorrente il cammino già intrapreso dalla nazione italiana. Si tratta di sussumere i nuovi contenuti "formalizzandoli" nel sistema già esistente: come sempre accaduto, la scientia iuris avrebbe dovuto fornire gli instrumenta per risolvere le criticità della politica entro le categorie della dommatica giuridica. A parole di N. Irti, «la forma è l'unica realtà sicura [...] poiché tutto è in grado di accogliere».
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