L'autobiografia psicotica
Cosa di più paradossale - potremmo dire antitetico - che mettere insieme autobiografia e psicosi, quando si conosce la tragedia esistenziale di un paziente psicotico, il suo essere sottomesso a quella "macchina influenzante" che assegna ruoli, destini, posizioni, comportamenti, e contro la quale un'intera vita combatte, tentando di trovare, comunque, le condizioni minimali per esprimere un desiderio, una singolarità? Dai piccoli e scarni graffiti su di un muro alle opere d'arte, dall'amputazione di sé alla foto della stessa, come in Nebreda, dalle parole come veleno alla scrittura infinita come in Wolfson, dal gesto criminale al suo racconto, i tragitti che definiscono questa ricerca vitale, per coloro che sono stati toccati dalla psicosi, mostrano una ricchezza e una complessità che non possiamo definire solo come atti protesici, sostegni narcisistici ad un Io altrimenti distrutto. Mostrano una linea di sviluppo e di conservazione dello psichico a volte insospettato, altre volte segnato in modo indelebile dalla stessa vicenda psicotica. Attraverso figure celebri (da Dino Campana a Althusser, da Wolfson a Nijinski, da Pierre Rivière a Schreber, da Schumann a Sarah Kane, da Artaud a Agatha Christie), L'autobiografia psicotica propone un possibile atlante dei modi in cui la psicosi tenta di dirsi, iscrivere qualcosa di singolare, una traccia soggettiva, un racconto altro e non predeterminato della propria esistenza.
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