La quaglia e la cornacchia
"Uno specchio da Bolsena, ora a Londra, è composto in modo da mostrare, oltre a un paesaggio di rocce e di alberi nodosi, un giovane simile a un Apollo, concentrato e solenne, che suona la lira e un ragazzo, che lo ascolta con la testa china, rivolta a un dittico aperto sulle ginocchia. Ai due lati stanno guerrieri armati. Il nome del musico è Cacu, quello del ragazzo Artile, i due guerrieri sono i fratelli Caile e Avle Vipinas... Il significato generale della scena appare chiaro. Artile è venuto al bosco sacro del musico-profeta Cacu, per un consiglio e un aiuto; i fratelli Vibenna lo hanno catturato. Ma non è chiaro quale azione compiranno quando avranno udito il responso di Cacu." Con queste parole Otto G. Brendel, in "Etruscan Art", descrive il celebre "specchio di Bolsena". Il Cacu qui rappresentato è, naturalmente, lo stesso Caco del mito di Ercole: ladro, imbroglione, in grado di emettere fuoco e fiamme, chi era davvero questo Caco che ha attirato l'attenzione di poeti come Virgilio, Ovidio, Properzio? "La quaglia e la cornacchia", quattro dialoghi sul mito di Ercole e Caco offre una risposta nuova a questa domanda su cui si sono affannati tanti studiosi. E la offre "con sorprendente lucidità intellettuale e vigorosissimo procedere logico", come osserva Luca Canali, in cui il racconto etrusco-romano e il lessico indo-iranico, l'etologia e l'astronomia, si mescolano e si compongono per ritrovare il significato ultimo racchiuso nel mito.
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