Brigata Katiuscia
Piantano una croce, a Reggio Emilia, sulle sponde del canale Ariolo, in memoria di un medico giustiziato da ignoti partigiani venti giorni dopo la Liberazione. La Procura ha aperto un fascicolo e le ruspe scavano per ritrovare i resti. E quasi una storia ordinaria per questa città "Medaglia d'oro al valor militare" che qualcuno ha ribattezzato capitale del "Triangolo della Morte". Ma Corrado Grisendi, approdato al Corriere di Reggio, questa città non la conosce. Non conosce il caso di Sebastiano Pergreffi e il veleno che ancora intossica la rilettura della Resistenza. I primi passi sono timidi, il primo articolo una semplice cronaca della cerimonia. Che non piace a nessuno, perché dietro quella croce c'è una storia lunga e sofferta, che affonda nella guerra e nel cuore dei protagonisti. Tre di loro sono ancora vivi. Sopra una sponda c'è Minto Pergreffi, il figlio del dottore ucciso, nipote del repubblichino Olindo emigrato dopo il 25 aprile per salvare la pelle. Sull'altra c'è il partigiano Tom, l'ultimo Gap del Distaccamento Katiuscia che operava sulla via Emilia. E più lontano, a Luzzara, la staffetta Neve, segnata dalle torture e dalle passioni di giovinezza. Sono loro le persone alle quali aggrapparsi per cercare una verità che le opinioni non conoscono o nascondono. Una verità che porta alla luce due sentimenti inossidabili, capaci di covare nel sonno per oltre sessant'anni, salvo risvegliarsi prepotenti anche alla fine della vita: l'odio e l'amore.
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