Il nuovo corso
I fatti d'Ungheria sono l'evento concreto, di un'attualità ancora irrisolta e bruciante, a partire dal quale Mario Pomilio redige la "favola politica" del "Nuovo corso". L'eco della repressione sovietica, nella Budapest del 1956, non si è ancora spenta e quel titolo (che riprende alla lettera il fallimentare esperimento libertario) non poteva essere in alcun modo equivocato dai lettori dell'epoca, né suscita dubbi in quelli odierni. Eppure qualcosa che non torna c'è. A non coincidere, tra modello e racconto, non è tanto la concatenazione dei fatti, rispetto ai quali il narratore rivendica un'assoluta licenza creativa. Il paesaggio, ecco che cosa non combacia: la geografia urbana che fa da sfondo al racconto. Quella città in cui stiamo per addentrarci "potrebbe essere stata o diventare domani la nostra città ". Sono le parole a fare dell'edicola di Basilio il solo vero "luogo" del romanzo. Qui, all'alba del giorno fatale che copre quasi per intero la trama, arrivano le copie del quotidiano con l'annuncio del "nuovo corso": la libertà smette di essere uno slogan e diventa qualcosa di concreto, le istituzioni cedono il passo alla spontanea aggregazione dei cittadini, perfino il Partito si scioglie, considerando ormai esaurito il proprio compito.
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