Il non potere
Non-potere", e non contropotere. E ancor meno un non-poetare, anzi. Ma anche un "non essere in grado", non riuscire. Che, detto con Jacopo, ci "turba". La passività come condizione del poetare, cioè del dire e del sentire. Che cosa? Il mondo che angoscia, quello - anche - di una generazione "drogata", secondo il personaggio-simbolo di questo romanzo poetico. (...) Ma forse la più calda espressione la scorgo sotto l'espressione questa produttiva lacrima, dove l'aggettivo tolto dal mondo meccanizzato e redditizio accompagna l'antico nome del pianto, sottraendo al piano dell'effimero le istantanee sul "tuz tuz della disco", sui fallimenti politici e studenteschi dell'Italia berluschizzata del Duemila, condensate in "lacrima" e consegnate alla poesia, all'universale" (dalla lettera all'autore di Luigi-Alberto Sanchi).
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