La cruna della notte
Per l'ultima volta aveva portato violacciocche sulla tomba di Elena, per l'ultima volta aveva suonato la loro canzone. "Il fiore della tua vita doveva ancora sbocciare... E il mio sta già appassendo." Lasciò il cimitero. Si avviò sulla strada che portava al Castello. La Valle dei Mulini era nascosta da una soffice nuvola bassa, un richiamo invitante per un tuffo definitivo ma Benedetto amava la vita anche quando lo stritolava nella spirale del dolore. Era un vagabondo cavaliere dei bassifondi dell'esistenza. Non aveva trovato il santo graal, non aveva mai avuto l'illusione della fede, nessuno lo aspettava dopo una giornata di lavoro per chiedergli come stava, dargli un bacio e fargli una carezza di cui sentiva un lancinante desiderio. Dall'amore aveva avuto poche intense gioie e molte profonde sofferenze. Il cellulare squillò. "Cosa c'è, Scimeca?" disse. "Una donna uccisa" rispose una voce roca di tabagista. "Vi vengo a prendere." "Non sono a casa." "Lo so che non siete a casa. Oggi è il diciannove maggio e sono le sei e un quarto del mattino."
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