Penziere, recuorde e... addre ancora
«In Saldari si nota una certa ruvidità espressiva, senz'altro dovuta a una sincerità d'approccio e al fatto che mira all'essenza. Del resto la ruvidezza del personaggio consona con l'aspra "lingua" ascolana, producendo una felice combinazione. I testi di Saldari (...) hanno sempre un peso, non evitano la ricerca di senso, né si concedono impennate pseudo-liriche. Saldari è dentro la realtà, ci vuole stare a modo suo con autonomia intellettuale e morale. Non può così evitare la lotta, non cerca facili scappatoie ma chiama le cose col loro nome (...) Degno del suo avo Cecco, autore de l'Acerba, è un po' acerbo di modi anche il nostro. Di sicuro neppure Saldari "parla a modo delle rane". Eppur è in grado di modulare la voce di volta in volta per l'ironia e il sarcasmo. E dal fondo affiora una certa amarezza per la callificazione del male nell'uomo e nella storia. Per di più Saldari non è avvezzo a parlare per interposta persona, che tradotto in gergo suona: "Le cose non te le manda a dire". E il vantaggio è che viene evitata il più possibile la "banalità". Semmai appare realistica (con quella punta di amarezza di cui sopra) la riflessione del poeta ascolano, dotato di una naturale forza di penna. Non scrive con una biro qualsiasi. Il suo pennino-vomere scava verità e scova vizi laddove a prima vista non appaiono...» (Dalla prefazione di Fabio M. Serpilli).
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