L'indio che mise a terra il mondo. Carlos Monzon
Monzón è stato uno dei più grandi boxeur del nostro secolo, uno dei pochi, come Rocky Marciano, ad essersi ritirati imbattuti nelle cosiddette categorie nobili, medi e massimi, i pesi che hanno fatto la grande storia della boxe.La sua è stata una vita bella e dannata, di successi ma anche di tragedie, fino all'omicidio dell'ultima moglie, la condanna, il carcere e la morte violenta.Nato nel poverissimo quartiere di San Javier, a pochi chilometri da Santa Fe, vive un'infanzia di pura sopravvivenza, cacciando e pescando lungo i fiumi della sua regione. Incontrato il pugilato, passa molti anni in palestra, prima di potersi guadagnare la chance mondiale contro Nino Benvenuti, e quando conquista la corona dei medi non la lascia più, portandosela dietro nel più grandi templi della boxe internazionale.Era certamente una grande 'vedette', Monzón.Se ne accorse per primo Alain Delon, che per lui organizzò diversi match in Francia, convincendo lo scrittore argentino Julio Cortázar a scrivere "La notte di Mantequilla", un racconto a sfondo giallo ambientato sotto un tendone da circo messo su dallo stesso Delon per il mach mondiale contro José Nápoles.Ma i richiami alla letteratura non si fermano a Cortázar. Ci sono Jack London, Ernest Hemingway, il regista Stanley Kubrick, che da giovane si occupò di boxe con un famoso cortometraggio "The day of the fight", oltre a un'ampia citazione della storia della boxe.Fece di tutto, Monzón, per poter uscire dalla marginalità: da lustrascarpe a strillone, da attore a imprenditore. Ci riuscì, grazie alla potenza delle sue fibre e al duro lavoro. Diventò ricco, famoso e invincibile. Ma, impreparato, non resse a questo nuovo destino, soprattutto quando decise di scendere dal ring. Volle ancora continuare a combattere contro l'ultimo avversario, la vita, e ne uscì sconfitto.
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